11 settembre 2001, un giorno che irrompe nella storia con la semplicità dell’impossibile. Il mondo vede in diretta sullo schermo domestico l’America attaccata dai terroristi e colpita nei suoi simboli di superpotenza economica e militare: 2 aerei di linea dirottati, a distanza di un quarto d’ora, si schiantano contro le 2 torri gemelle del World Trade Center di Manhatann a New York. Sono i grattacieli più alti della metropoli, 420 metri, 110 piani. Ospitano 500 società internazionali, banche, agenzie di assicurazioni, ditte immobiliari, ristoranti, bar. Vi lavorano 50 mila persone. Sono anche un polo di attrazione turistica: 70 mila visitatori al giorno. I ragazzi che vanno per la prima volte a Manhattan di solito salgono all’ultimo piano della Torre per godersi il panorama: si dominano la baia, la Statua della Libertà e gli edifici di Ellis Island, la prima tappa degli emigranti in America. Quel giorno di settembre il cielo è terso e il sole tiepido. Le mamme accompagnano a scuola i bambini, uffici e negozi stanno aprendo. Ma ecco uno schianto improvviso, la vampata e il blu del cielo diventa nero di fumo e di detriti. Persone disperate si sporgono dalle finestre: alcune precipitano nel vuoto, altre vengono divorate della fiamme. Un terzo aereo pilotato da altri terroristi kamikaze (parola che significa “vento divino”: così si chiamavano i piloti giapponesi che durante l’ultima guerra si schiantavano volontariamente contro le navi nemiche) si getta sul Pentagono, il “cervello” del comando militare USA costruito sulle rive del fiume Patomac, a Washington. Un quarto precipita a Pittsburgh, in Pennsylvania, ed è il solo a non centrare il bersaglio. Le fiamme dei jet fendono l’acciaio. Dopo un’ora di rogo, le due torri si sbriciolano come biscotti e scompaiono nel polverone denso che avvolge l’intera Manhattan. Dirà un cosmonauta: “Da 384 chilometri di d’altitudine, abbiamo visto la colonna di fumo salire da New York”. Crollano anche altri palazzi. Un’apocalisse: migliaia di sepolti sotto le macerie, pochi i sopravvissuti. Muore anche il mito della superpotenza invulnerabile. E tutti noi, che pensiamo di vivere in un mondo civile, ci sentiamo più fragili, consapevoli che è cominciata una guerra anomala, mai dichiarata, contro un nemico invisibile che può colpire in qualsiasi momento, anche il bersaglio più insospettato. Un nemico miserabile e vile che colpisce alla cieca, indifferente allo strazio di mamme e bambini. Per questo nemico, il martirio è onore e privilegio.
domenica 30 dicembre 2007
11 settembre 2001
11 settembre 2001
11 settembre 2001, un giorno che irrompe nella storia con la semplicità dell’impossibile. Il mondo vede in diretta sullo schermo domestico l’America attaccata dai terroristi e colpita nei suoi simboli di superpotenza economica e militare: 2 aerei di linea dirottati, a distanza di un quarto d’ora, si schiantano contro le 2 torri gemelle del World Trade Center di Manhatann a New York. Sono i grattacieli più alti della metropoli, 420 metri, 110 piani. Ospitano 500 società internazionali, banche, agenzie di assicurazioni, ditte immobiliari, ristoranti, bar. Vi lavorano 50 mila persone. Sono anche un polo di attrazione turistica: 70 mila visitatori al giorno. I ragazzi che vanno per la prima volte a Manhattan di solito salgono all’ultimo piano della Torre per godersi il panorama: si dominano la baia, la Statua della Libertà e gli edifici di Ellis Island, la prima tappa degli emigranti in America. Quel giorno di settembre il cielo è terso e il sole tiepido. Le mamme accompagnano a scuola i bambini, uffici e negozi stanno aprendo. Ma ecco uno schianto improvviso, la vampata e il blu del cielo diventa nero di fumo e di detriti. Persone disperate si sporgono dalle finestre: alcune precipitano nel vuoto, altre vengono divorate della fiamme. Un terzo aereo pilotato da altri terroristi kamikaze (parola che significa “vento divino”: così si chiamavano i piloti giapponesi che durante l’ultima guerra si schiantavano volontariamente contro le navi nemiche) si getta sul Pentagono, il “cervello” del comando militare USA costruito sulle rive del fiume Patomac, a Washington. Un quarto precipita a Pittsburgh, in Pennsylvania, ed è il solo a non centrare il bersaglio. Le fiamme dei jet fendono l’acciaio. Dopo un’ora di rogo, le due torri si sbriciolano come biscotti e scompaiono nel polverone denso che avvolge l’intera Manhattan. Dirà un cosmonauta: “Da 384 chilometri di d’altitudine, abbiamo visto la colonna di fumo salire da New York”. Crollano anche altri palazzi. Un’apocalisse: migliaia di sepolti sotto le macerie, pochi i sopravvissuti. Muore anche il mito della superpotenza invulnerabile. E tutti noi, che pensiamo di vivere in un mondo civile, ci sentiamo più fragili, consapevoli che è cominciata una guerra anomala, mai dichiarata, contro un nemico invisibile che può colpire in qualsiasi momento, anche il bersaglio più insospettato. Un nemico miserabile e vile che colpisce alla cieca, indifferente allo strazio di mamme e bambini. Per questo nemico, il martirio è onore e privilegio.
11 settembre 2001, un giorno che irrompe nella storia con la semplicità dell’impossibile. Il mondo vede in diretta sullo schermo domestico l’America attaccata dai terroristi e colpita nei suoi simboli di superpotenza economica e militare: 2 aerei di linea dirottati, a distanza di un quarto d’ora, si schiantano contro le 2 torri gemelle del World Trade Center di Manhatann a New York. Sono i grattacieli più alti della metropoli, 420 metri, 110 piani. Ospitano 500 società internazionali, banche, agenzie di assicurazioni, ditte immobiliari, ristoranti, bar. Vi lavorano 50 mila persone. Sono anche un polo di attrazione turistica: 70 mila visitatori al giorno. I ragazzi che vanno per la prima volte a Manhattan di solito salgono all’ultimo piano della Torre per godersi il panorama: si dominano la baia, la Statua della Libertà e gli edifici di Ellis Island, la prima tappa degli emigranti in America. Quel giorno di settembre il cielo è terso e il sole tiepido. Le mamme accompagnano a scuola i bambini, uffici e negozi stanno aprendo. Ma ecco uno schianto improvviso, la vampata e il blu del cielo diventa nero di fumo e di detriti. Persone disperate si sporgono dalle finestre: alcune precipitano nel vuoto, altre vengono divorate della fiamme. Un terzo aereo pilotato da altri terroristi kamikaze (parola che significa “vento divino”: così si chiamavano i piloti giapponesi che durante l’ultima guerra si schiantavano volontariamente contro le navi nemiche) si getta sul Pentagono, il “cervello” del comando militare USA costruito sulle rive del fiume Patomac, a Washington. Un quarto precipita a Pittsburgh, in Pennsylvania, ed è il solo a non centrare il bersaglio. Le fiamme dei jet fendono l’acciaio. Dopo un’ora di rogo, le due torri si sbriciolano come biscotti e scompaiono nel polverone denso che avvolge l’intera Manhattan. Dirà un cosmonauta: “Da 384 chilometri di d’altitudine, abbiamo visto la colonna di fumo salire da New York”. Crollano anche altri palazzi. Un’apocalisse: migliaia di sepolti sotto le macerie, pochi i sopravvissuti. Muore anche il mito della superpotenza invulnerabile. E tutti noi, che pensiamo di vivere in un mondo civile, ci sentiamo più fragili, consapevoli che è cominciata una guerra anomala, mai dichiarata, contro un nemico invisibile che può colpire in qualsiasi momento, anche il bersaglio più insospettato. Un nemico miserabile e vile che colpisce alla cieca, indifferente allo strazio di mamme e bambini. Per questo nemico, il martirio è onore e privilegio.
lunedì 24 dicembre 2007
AIDS
AIDS
Il termine AIDS deriva dall’abbreviatura Acquired Immuno – Deficiency Syndrome (Sindrome da Immuno Deficienza Acquisita). Nel 1983 si sapeva ancora pochissimo di questa sindrome. Oggi si calcola che nel mondo siano più di 22 milioni le persone infette, di cui 14 milioni solo in Africa, infatti, l’epidemia riguarda sempre di più il Terzo mondo, dove la diffusione ha raggiunto livelli altissimi, e i farmaci più efficaci non sono disponibili, mentre si è stabilizzata nei paesi ricchi. Sono stati identificati più di mille ceppi diversi di virus che corrispondono a 8 o 9 grandi famiglie, probabilmente alcuni di questi risultano meno aggressivi. Anche in Uganda, ad esempio, sono tantissimi i sieropositivi e molto pochi i malati di AIDS. Per spiegare questo fenomeno si può fare l’ipotesi che in quei paesi il virus sia arrivato già da molto tempo e, quindi, il sistema immunitario della popolazione si sia nel frattempo rafforzato. Lo scienziato francese Luc Montagnier, insieme al suo gruppo dell’Istituto Pasteur di Parigi, ha isolato il virus HIV che colpisce il sistema immunitario, cioè quel sistema di cellule (istiociti e linfociti) che intervengono a difesa dell’organismo contro le infezioni. La natura retrovirale dell’HIV crea non pochi problemi, infatti, i retrovirus attaccano e distruggono i linfociti, poi si riproducono all’interno della cellula utilizzando un’ enzima e trasformando il loro RNA in DNA (trascriptasi inversa). Nei retrovirus, l’informazione genetica è conservata in una molecola di RNA (Acido Ribonucleico, si trova sia nel nucleo sia nel citoplasma delle cellule, la cui funzione principale è la sintesi proteica) e questo funge da stampo per “riscrivere” l’informazione sul DNA (Acido Desossiribonucleico, si trova quasi esclusivamente nel nucleo delle cellule ed è portatore dei fattori ereditari).Appena il materiale genetico è integrato da quello della cellula ospite, l’HIV programma la creazione di altri componenti virali. I nuovi retrovirus abbandonano la cellula e, proliferandone al di fuori, vanno ad infettare altri linfociti creando, cosi, un processo a catena. Alla scoperta del virus dell’HIV seguirono campagne di stampa internazionali in pericoloso bilico tra informazione e catastrofismo. Oggi, invece, l’attenzione dei media si sta spostando dalla crudele eccezionalità della malattia alla quotidianità di milioni di persone che, pur colpite dal contagio, continuano a vivere la loro vita da sieropositivi. Il 5% dei sieropositivi, a più di dieci anni dall’infezione non si ammala di AIDS. I loro anticorpi, tengono “in scacco” il virus e il sistema immunitario continua a funzionare bene. Questi soggetti sono chiamati “resistenti” o anche “lungo resistenti”. Equipe di immunologi di molti paesi li studiano per individuare nel loro sangue una caratteristica, una “anomalia” che possa portare alla scoperta di un vaccino o di una terapia. Resta aperto un quesito e cioè se la capacità di tenere testa all’AIDS di questi sieropositivi fosse dovuta a un virus scarsamente aggressivo o al loro sistema immunitario che impediva all’infezione di progredire verso la malattia conclamata. Comunque la speranza di tutti è la realizzazione di un vaccino contro l’AIDS, una delle sfide più complesse e insidiose che la medicina e la biologia sono chiamate ad affrontare in questo fine secolo. Le difficoltà nascono in primo luogo dal fatto che non bisogna affrontare un solo virus, ma tanti ceppi di virus HIV; di conseguenza non si dovrà realizzare un solo vaccino ma tanti vaccini diversi contro le varie forme mutanti del virus HIV. Negli ultimi anni, in tutti i paesi del mondo, Italia compresa, sono stati sperimentati sull’uomo una serie di vaccini che usano strade diverse per combattere il virus. Una delle strade più seguite si basa sull’ingegneria genetica, per ottenere preparati che non contengono l’intero virus, ma soltanto una piccolissima parte delle proteine che lo investono, affinché queste scatenino la risposta immunitaria dell’organismo ma senza il rischio dell’infezione. La notizia di un bambino di 5 anni, sieropositivo sin dalla nascita ed ora guarito, ha destato grande scalpore, ridando speranza a chi è stato colpito dalla malattia e offrendo nuovi spunti di ricerca a chi si occupa di AIDS. Il bambino è figlio di una madre sieropositiva e sin dalla nascita era risultato positivo al test. Tutti i neonati ricevono, attraverso la placenta, gli anticorpi che possiede la madre e li conservano più di un anno. Qualche mese dopo la nascita del bambino sieropositivo, dell’HIV non c’era più traccia. Esiste la remota possibilità che il virus possa essersi nascosto in qualche linfonodo e, se i ricercatori non hanno commesso errori, questa storia potrebbe smentire il dogma che l’infezione da HIV sia irreversibile. Non è questo il primo caso. Una di queste riguarda tre neonati italiani. Evidentemente qualcosa cambia, negli sviluppi di questa malattia, infatti, è stata riscontrata una forte reattività contro il virus in gruppi che di omosessuali che, pur essendo ad alto rischio, apparentemente non si sono mai infettati. Per spiegare questa reattività si pensa che il virus, per qualche tempo abbia soggiornato in questi soggetti. Non si è molto lontani dalla verità, altrimenti non si potrebbe spiegare il fatto che negli aborti di donne sieropositive, quasi sempre nel feto si trova il virus, mentre il 75% dei nati da madri infette risultano, alla fine, indenni. Luc Montagnier dovrebbe avviare, entro il 2000, la sperimentazione in Francia di un vaccino contenente un gene in grado di neutralizzare l’azione della proteina NEF (Negative Factor, fattore negativo) che facilita il progredire dell’infezione. Questo fattore è presente nello stesso virus HIV, che ne sollecita la formazione all’interno delle cellule che invade. Il virus HIV avanza servendosi di questa proteina come nutrimento. La sostanza che l’equipe di Montagnier sta cercando di mettere a punto, ha lo scopo di inibire, di impedire la formazione di questa proteina. Togliendo al virus HIV il nutrimento proteico di cui ha bisogno per moltiplicarsi, si cerca di bloccarne la diffusione del virus, la stessa malattia dell’AIDS non potrà progredire. In Italia è iniziata la sperimentazione, per ora sulle scimmie, di un vaccino che scatena la risposta immunitaria dell’organismo contro la “TAT”, una delle proteine contenute nel virus HIV, che facilita l’infezione paralizzando i linfociti. Il vaccino è stato messo a punto da un gruppo di ricercatori dell’Istituto Superiore di Sanità; negli animali questo vaccino ha provocato una forte risposta immunitaria contro il virus, tanto da far prevedere la sua sperimentazione sull’uomo. Un vaccino simile che utilizza, però, il gene che produce la proteina “TAT” è stato sviluppato negli Stati Uniti: si tratta di un vaccino curativo e non preventivo e, attualmente, si sperimenta in Belgio, in Israele e in Italia, al centro Emofilia dell’Università di Milano. Il vaccino che dovrà sconfiggere il male del secolo, dovrà essere in grado di proteggere sia dalla trasmissione per mezzo del sangue sia dalla trasmissione per via sessuale che avviene attraverso le mucose. Dovrà essere efficace contro tutti i ceppi di virus e offrire una copertura a lungo termine e, infine, dovrà sviluppare non solo un’immunità attraverso gli anticorpi ma anche un’immunità cellulare. Una delle ultime conferenze mondiali sull’AIDS ha dato l’opportunità ai ricercatori, di confrontare le nuove tecniche di cura già in uso o ancora in via di sperimentazione, nuove teorie e nuove conoscenze. Il congresso si è aperto sulla base di cifre allarmanti. Sono, infatti, più di 28 milioni le persone colpite dal virus. Secondo i dati più recenti, forniti dall’Unaids (programma dell’ONU sull’AIDS), i sieropositivi sono circa 21 milioni e oltre 7 milioni coloro che hanno sviluppato la malattia. La grande maggioranza dei sieropositivi, vive nei paesi in via di sviluppo: 14 milioni nella regione del Sahara; 1 milione e 300 mila in Sud America; 4 milioni e 800 mila nel sud-est asiatico; 780 mila casi nel Nord America ed infine 470 mila nell’Europa occidentale. Nonostante queste cifre non siano tra le più confortanti, la conferenza di Vancouver, con oltre 15 mila partecipanti provenienti da 125 Paesi, ha riservato un’atmosfera ricca di speranze. Le nubi presenti nelle passate conferenze sono state diradate dai progressi che la ricerca, in questo campo, ha raggiunto. E’ stato anche annunciato che l’AIDS, sarà curabile, in un futuro assai prossimo. Lo scienziato Robert Gallo ha presentato i risultati del suo lavoro sulle chemiochine (Rantes-MP 1 Alfa- MP 1 Beta), potenti inibitori dell’HIV-1e 2. Queste molecole, prodotte dai linfociti CD e dai macrofagi, combinate con gli inibitori delle proteasi sono in grado, in provetta, di bloccare la replicazione dei virus. Luc Montagnier sostiene invece che l’epidemia riceverà un colpo mortale dai vaccini preventivi e curativi, ma la strada da percorrere per giungere a questo obiettivo è ancora molto lunga. Molto duro è stato l’intervento dell’attrice Liz Taylor, da anni impegnata quale presidentessa dell’Ampar (Fondazione americana per la ricerca sull’AIDS), contro gli USA e il Canada,Paesi in cui le tecnologie hanno raggiunto alti livelli, ma che hanno tagliato i fondi per la ricerca. La Taylor si è scagliata verbalmente proprio contro gli Stati Uniti, colpevoli di aver bloccato il programma per evitare lo scambio di aghi usati trai tossicodipendenti. Questa presa di posizione è stata definita dall’attrice con un termine ben specifico: omicidio premeditato. Sono stati resi noti, inoltre i dati relativi all’uso di profilattici come arma per combattere il diffondersi della malattia e i più attenti sono risultati gli italiani. Da una ricerca condotta dall’Istituto d’Igiene dell’Università La Sapienza di Roma, su un campione di 52 mila giovani tra i 19 e i 24 anni, emerge che i profilattici sono conosciuti e usati da noi più che in altri Paesi europei. Il caso del virus HIV, è simile ad un giallo dove non si vede il colpevole, ma tutte le prove sono contro di lui. DA SAPERE 1. Rapporti sessuali protetti dal preservativo, dall’inizio alla fine, riducono il rischio dell’AIDS. 2. E’ importante, tra i tossicodipendenti, non scambiarsi mai siringhe, aghi, cucchiaini. 3. Sudore, colpi di tosse, starnuti e lacrime non trasmettono il virus. 4. Il bacio non è un comportamento a rischio, a meno che non sussistano lesioni sanguinanti delle mucose interessate. 5. L’uso comune di asciugamani per il viso, indumenti, stoviglie, docce, non comporta alcun rischio. 6. La frequentazione di locali pubblici, palestre, piscine, ospedali, studi medici, mezzi di trasporto non è pericolosa. 7. Gli insetti non trasmettono l’HIV. 8. Certe terapie (agopuntura, mesoterapia, cure odontoiatriche), così come certi trattamenti estetici (manicure, pedicure, depilazione e tatuaggi) non sono a rischio, a patto che siano osservate le opportune misure igieniche e di sterilizzazione.
Il termine AIDS deriva dall’abbreviatura Acquired Immuno – Deficiency Syndrome (Sindrome da Immuno Deficienza Acquisita). Nel 1983 si sapeva ancora pochissimo di questa sindrome. Oggi si calcola che nel mondo siano più di 22 milioni le persone infette, di cui 14 milioni solo in Africa, infatti, l’epidemia riguarda sempre di più il Terzo mondo, dove la diffusione ha raggiunto livelli altissimi, e i farmaci più efficaci non sono disponibili, mentre si è stabilizzata nei paesi ricchi. Sono stati identificati più di mille ceppi diversi di virus che corrispondono a 8 o 9 grandi famiglie, probabilmente alcuni di questi risultano meno aggressivi. Anche in Uganda, ad esempio, sono tantissimi i sieropositivi e molto pochi i malati di AIDS. Per spiegare questo fenomeno si può fare l’ipotesi che in quei paesi il virus sia arrivato già da molto tempo e, quindi, il sistema immunitario della popolazione si sia nel frattempo rafforzato. Lo scienziato francese Luc Montagnier, insieme al suo gruppo dell’Istituto Pasteur di Parigi, ha isolato il virus HIV che colpisce il sistema immunitario, cioè quel sistema di cellule (istiociti e linfociti) che intervengono a difesa dell’organismo contro le infezioni. La natura retrovirale dell’HIV crea non pochi problemi, infatti, i retrovirus attaccano e distruggono i linfociti, poi si riproducono all’interno della cellula utilizzando un’ enzima e trasformando il loro RNA in DNA (trascriptasi inversa). Nei retrovirus, l’informazione genetica è conservata in una molecola di RNA (Acido Ribonucleico, si trova sia nel nucleo sia nel citoplasma delle cellule, la cui funzione principale è la sintesi proteica) e questo funge da stampo per “riscrivere” l’informazione sul DNA (Acido Desossiribonucleico, si trova quasi esclusivamente nel nucleo delle cellule ed è portatore dei fattori ereditari).Appena il materiale genetico è integrato da quello della cellula ospite, l’HIV programma la creazione di altri componenti virali. I nuovi retrovirus abbandonano la cellula e, proliferandone al di fuori, vanno ad infettare altri linfociti creando, cosi, un processo a catena. Alla scoperta del virus dell’HIV seguirono campagne di stampa internazionali in pericoloso bilico tra informazione e catastrofismo. Oggi, invece, l’attenzione dei media si sta spostando dalla crudele eccezionalità della malattia alla quotidianità di milioni di persone che, pur colpite dal contagio, continuano a vivere la loro vita da sieropositivi. Il 5% dei sieropositivi, a più di dieci anni dall’infezione non si ammala di AIDS. I loro anticorpi, tengono “in scacco” il virus e il sistema immunitario continua a funzionare bene. Questi soggetti sono chiamati “resistenti” o anche “lungo resistenti”. Equipe di immunologi di molti paesi li studiano per individuare nel loro sangue una caratteristica, una “anomalia” che possa portare alla scoperta di un vaccino o di una terapia. Resta aperto un quesito e cioè se la capacità di tenere testa all’AIDS di questi sieropositivi fosse dovuta a un virus scarsamente aggressivo o al loro sistema immunitario che impediva all’infezione di progredire verso la malattia conclamata. Comunque la speranza di tutti è la realizzazione di un vaccino contro l’AIDS, una delle sfide più complesse e insidiose che la medicina e la biologia sono chiamate ad affrontare in questo fine secolo. Le difficoltà nascono in primo luogo dal fatto che non bisogna affrontare un solo virus, ma tanti ceppi di virus HIV; di conseguenza non si dovrà realizzare un solo vaccino ma tanti vaccini diversi contro le varie forme mutanti del virus HIV. Negli ultimi anni, in tutti i paesi del mondo, Italia compresa, sono stati sperimentati sull’uomo una serie di vaccini che usano strade diverse per combattere il virus. Una delle strade più seguite si basa sull’ingegneria genetica, per ottenere preparati che non contengono l’intero virus, ma soltanto una piccolissima parte delle proteine che lo investono, affinché queste scatenino la risposta immunitaria dell’organismo ma senza il rischio dell’infezione. La notizia di un bambino di 5 anni, sieropositivo sin dalla nascita ed ora guarito, ha destato grande scalpore, ridando speranza a chi è stato colpito dalla malattia e offrendo nuovi spunti di ricerca a chi si occupa di AIDS. Il bambino è figlio di una madre sieropositiva e sin dalla nascita era risultato positivo al test. Tutti i neonati ricevono, attraverso la placenta, gli anticorpi che possiede la madre e li conservano più di un anno. Qualche mese dopo la nascita del bambino sieropositivo, dell’HIV non c’era più traccia. Esiste la remota possibilità che il virus possa essersi nascosto in qualche linfonodo e, se i ricercatori non hanno commesso errori, questa storia potrebbe smentire il dogma che l’infezione da HIV sia irreversibile. Non è questo il primo caso. Una di queste riguarda tre neonati italiani. Evidentemente qualcosa cambia, negli sviluppi di questa malattia, infatti, è stata riscontrata una forte reattività contro il virus in gruppi che di omosessuali che, pur essendo ad alto rischio, apparentemente non si sono mai infettati. Per spiegare questa reattività si pensa che il virus, per qualche tempo abbia soggiornato in questi soggetti. Non si è molto lontani dalla verità, altrimenti non si potrebbe spiegare il fatto che negli aborti di donne sieropositive, quasi sempre nel feto si trova il virus, mentre il 75% dei nati da madri infette risultano, alla fine, indenni. Luc Montagnier dovrebbe avviare, entro il 2000, la sperimentazione in Francia di un vaccino contenente un gene in grado di neutralizzare l’azione della proteina NEF (Negative Factor, fattore negativo) che facilita il progredire dell’infezione. Questo fattore è presente nello stesso virus HIV, che ne sollecita la formazione all’interno delle cellule che invade. Il virus HIV avanza servendosi di questa proteina come nutrimento. La sostanza che l’equipe di Montagnier sta cercando di mettere a punto, ha lo scopo di inibire, di impedire la formazione di questa proteina. Togliendo al virus HIV il nutrimento proteico di cui ha bisogno per moltiplicarsi, si cerca di bloccarne la diffusione del virus, la stessa malattia dell’AIDS non potrà progredire. In Italia è iniziata la sperimentazione, per ora sulle scimmie, di un vaccino che scatena la risposta immunitaria dell’organismo contro la “TAT”, una delle proteine contenute nel virus HIV, che facilita l’infezione paralizzando i linfociti. Il vaccino è stato messo a punto da un gruppo di ricercatori dell’Istituto Superiore di Sanità; negli animali questo vaccino ha provocato una forte risposta immunitaria contro il virus, tanto da far prevedere la sua sperimentazione sull’uomo. Un vaccino simile che utilizza, però, il gene che produce la proteina “TAT” è stato sviluppato negli Stati Uniti: si tratta di un vaccino curativo e non preventivo e, attualmente, si sperimenta in Belgio, in Israele e in Italia, al centro Emofilia dell’Università di Milano. Il vaccino che dovrà sconfiggere il male del secolo, dovrà essere in grado di proteggere sia dalla trasmissione per mezzo del sangue sia dalla trasmissione per via sessuale che avviene attraverso le mucose. Dovrà essere efficace contro tutti i ceppi di virus e offrire una copertura a lungo termine e, infine, dovrà sviluppare non solo un’immunità attraverso gli anticorpi ma anche un’immunità cellulare. Una delle ultime conferenze mondiali sull’AIDS ha dato l’opportunità ai ricercatori, di confrontare le nuove tecniche di cura già in uso o ancora in via di sperimentazione, nuove teorie e nuove conoscenze. Il congresso si è aperto sulla base di cifre allarmanti. Sono, infatti, più di 28 milioni le persone colpite dal virus. Secondo i dati più recenti, forniti dall’Unaids (programma dell’ONU sull’AIDS), i sieropositivi sono circa 21 milioni e oltre 7 milioni coloro che hanno sviluppato la malattia. La grande maggioranza dei sieropositivi, vive nei paesi in via di sviluppo: 14 milioni nella regione del Sahara; 1 milione e 300 mila in Sud America; 4 milioni e 800 mila nel sud-est asiatico; 780 mila casi nel Nord America ed infine 470 mila nell’Europa occidentale. Nonostante queste cifre non siano tra le più confortanti, la conferenza di Vancouver, con oltre 15 mila partecipanti provenienti da 125 Paesi, ha riservato un’atmosfera ricca di speranze. Le nubi presenti nelle passate conferenze sono state diradate dai progressi che la ricerca, in questo campo, ha raggiunto. E’ stato anche annunciato che l’AIDS, sarà curabile, in un futuro assai prossimo. Lo scienziato Robert Gallo ha presentato i risultati del suo lavoro sulle chemiochine (Rantes-MP 1 Alfa- MP 1 Beta), potenti inibitori dell’HIV-1e 2. Queste molecole, prodotte dai linfociti CD e dai macrofagi, combinate con gli inibitori delle proteasi sono in grado, in provetta, di bloccare la replicazione dei virus. Luc Montagnier sostiene invece che l’epidemia riceverà un colpo mortale dai vaccini preventivi e curativi, ma la strada da percorrere per giungere a questo obiettivo è ancora molto lunga. Molto duro è stato l’intervento dell’attrice Liz Taylor, da anni impegnata quale presidentessa dell’Ampar (Fondazione americana per la ricerca sull’AIDS), contro gli USA e il Canada,Paesi in cui le tecnologie hanno raggiunto alti livelli, ma che hanno tagliato i fondi per la ricerca. La Taylor si è scagliata verbalmente proprio contro gli Stati Uniti, colpevoli di aver bloccato il programma per evitare lo scambio di aghi usati trai tossicodipendenti. Questa presa di posizione è stata definita dall’attrice con un termine ben specifico: omicidio premeditato. Sono stati resi noti, inoltre i dati relativi all’uso di profilattici come arma per combattere il diffondersi della malattia e i più attenti sono risultati gli italiani. Da una ricerca condotta dall’Istituto d’Igiene dell’Università La Sapienza di Roma, su un campione di 52 mila giovani tra i 19 e i 24 anni, emerge che i profilattici sono conosciuti e usati da noi più che in altri Paesi europei. Il caso del virus HIV, è simile ad un giallo dove non si vede il colpevole, ma tutte le prove sono contro di lui. DA SAPERE 1. Rapporti sessuali protetti dal preservativo, dall’inizio alla fine, riducono il rischio dell’AIDS. 2. E’ importante, tra i tossicodipendenti, non scambiarsi mai siringhe, aghi, cucchiaini. 3. Sudore, colpi di tosse, starnuti e lacrime non trasmettono il virus. 4. Il bacio non è un comportamento a rischio, a meno che non sussistano lesioni sanguinanti delle mucose interessate. 5. L’uso comune di asciugamani per il viso, indumenti, stoviglie, docce, non comporta alcun rischio. 6. La frequentazione di locali pubblici, palestre, piscine, ospedali, studi medici, mezzi di trasporto non è pericolosa. 7. Gli insetti non trasmettono l’HIV. 8. Certe terapie (agopuntura, mesoterapia, cure odontoiatriche), così come certi trattamenti estetici (manicure, pedicure, depilazione e tatuaggi) non sono a rischio, a patto che siano osservate le opportune misure igieniche e di sterilizzazione.
mercoledì 19 dicembre 2007
Fiction Rino Gaetano
Rino Gaetano
In questi giorni l’11 e il 12 novembre è stata trasmessa su Rai Uno la fiction “Rino Gaetano- Ma il cielo è sempre più blu” dal regista Marco Turco con protagonista principale Claudio Santamaria, oltre alla partecipazione di Ninetto Davoli nel ruolo del proprietario del “Bar del Barone” con le due attrici Katia Smutniak e Laura Chiatti. La fiction ripercorre la carriera al tempo stesso artistica e umana di Rino Gaetano, nato a Melissa nella provincia di Crotone il 29 ottobre del 1950, all’anagrafe Salvatore Antonio Gaetano, nel 1960 all’ età di 11 anni, si trasferisce assieme al padre a Roma nel quartiere di Montesacro, tuttavia il piccolo Gaetano da tutti chiamato Rino, manifesta una predisposizione per la musica, al padre la passione del figlio per la musica non piace, dice che non potrebbe neanche vivere, per Rino invece è uno scopo che vuole raggiungere non importa se dovrà fare dei sacrifici,ma sente che quella che sta per intraprendere è la sua strada, Rino studia per tre anni da geometra che è quello che il padre sogna per lui, ma Rino sente che quello non è il mestiere che fa per lui, decide allora di tentare di farsi conoscere andando le prime volte al Folkstudio, un locale dove si esibiscono artisti come Antonello Venditti, Francesco de Gregori, in una delle sue esibizioni si presenta accompagnato da una chitarra anche se il locale non è molto frequentato inizia ha cantare I love you Maryanna, canzone molto allegra dove Rino canta in tedesco, francese, inglese, spagnolo e italiano, la canzone si presta ad un curioso gioco di pronuncia, in cui Maryanna è pronunciata in modo similare alla parola marijuana, di questo se ne accorse la censura che vietò il pezzo dalla programmazione radio-televisiva. .In realtà Rino con questa canzone ha voluto rendere omaggio alla nonna che si chiamava Marianna, l’album con il quale si presento inizialmente fu I love you Maryanna, nella copertina è presente Kammamuri’s, il personaggio scaturito dalla penna di Salgari, l’aiutante di Sandokan con in primo piano la tigre, Kammamuri’s è anche lo pseudonimo con il quale Rino firmava l’album.Viene notato da un discografico che fa parte della IT un’etichetta indipendente, si chiama Vincenzo Micocci, con lui incide il primo album Ingresso libero che contiene canzoni come Tu, forse non essenzialmente tu, Ad esempio a me piace il sud la quale per farla conoscere decide di affidarla a un cantante melodico come Nicola di Bari, anch’ egli del sud originario della Puglia, il quale la presenta a Canzonissima.Nella versione di Nicola di Bari viene cambiato solo il ritornello per il resto il testo non subisce variazioni, Nicola di Bari nel ritornello canta “Ma chi manca sei tu, Con te ho diviso un’età, Tutti i miei sogni per te, Tutto il mio amore, La mia libertà. Nella versione originale di Rino Gaetano invece è “Ma come fare non so, Si, devo dirlo, ma a chi? Se mai qualcuno capirà, Sarà senz’altro un altro come me. Una canzone contenente nel primo album si rifà molto allo stile di de Andrè ed è E la vecchia salta con l’ asta, “la favola antica del cavaliere, cresciuto nel solitario castello, annoiato dall’amore di tre cortigiane e dal rosso nettare di tre damigiane. Illuso da assurde chimere, il cavaliere parte alla ricerca dell’amore.”Bisogna dire che Rino Gaetano quando era ancora agli esordi si è fatto conoscere per due canzoni la prima, la quale l’ha pubblicata, si chiama Jaqueline era già stata riproposta all’etichetta Bell Disc insieme a La ballata di Renzo per un disco successivamente mai inciso. Questa canzone La ballata di Renzo originariamente si chiamava “Quando Renzo morì ero al bar” ed è una canzone tragica e paradossale, sia per la vicenda raccontata, sia per la somiglianza con ciò che accadrà la notte del 2 giugno 1981 allo stesso Gaetano. A 31 anni non ancora compiuti, e a meno di un chilometro da casa, il cantautore calabro-romano Salvatore Antonio Gaetano detto Rino incomincia a morire alle 3.55 del 2 giugno 1981 sulla via Nomentana all’altezza di via Carlo Fea, nei pressi dell’angolo con viale XXI Aprile. Incomincia a morire dove ci sono l’ambasciata iraniana, un bar sempre aperto che vende le sigarette anche di notte e una farmacia gestita da dottori calabresi. Muore dopo essersi schiantato con la sua Volvo 343 GL grigio metallizzato targata “Roma Z40932”. Rino muore dopo essersi schiantato contro un’ autocarro Fiat 650D guidato da Antonio Torres e carico di frutta e verdura, che si stava dirigendo verso i mercati generali. La canzone racconta “la storia di Renzo che muore dopo essere stato investito da un’auto, mentre i suoi amici se ne stanno al bar all’oscuro dell’incidente. Renzo muore solo, dopo essere stato rifiutato da cinque ospedali per insufficienza di posti, neppure al cimitero del Verano hanno posto,Renzo viene rifiutato anche lì. Persino nel luogo della pace eterna, la salma di Renzo è paradossalmente condannata a non trovare tregua”, gli stessi che respingeranno Rino per mancanza di posti e di attrezzature necessarie ai craniolesi: negli ultimi istanti della sua vita, il cantante avrebbe perso più di due ore tra il Policlinico, il San Giovanni e il San Camillo alla ricerca di un posto, prima di spegnersi all’alba del 2 giugno, anche la salma di Rino dovrà aspettare alcuni mesi prima di trovare sistemazione al Verano, nel riquadro 119, piano terra, cappella V, loculo 10.
In questi giorni l’11 e il 12 novembre è stata trasmessa su Rai Uno la fiction “Rino Gaetano- Ma il cielo è sempre più blu” dal regista Marco Turco con protagonista principale Claudio Santamaria, oltre alla partecipazione di Ninetto Davoli nel ruolo del proprietario del “Bar del Barone” con le due attrici Katia Smutniak e Laura Chiatti. La fiction ripercorre la carriera al tempo stesso artistica e umana di Rino Gaetano, nato a Melissa nella provincia di Crotone il 29 ottobre del 1950, all’anagrafe Salvatore Antonio Gaetano, nel 1960 all’ età di 11 anni, si trasferisce assieme al padre a Roma nel quartiere di Montesacro, tuttavia il piccolo Gaetano da tutti chiamato Rino, manifesta una predisposizione per la musica, al padre la passione del figlio per la musica non piace, dice che non potrebbe neanche vivere, per Rino invece è uno scopo che vuole raggiungere non importa se dovrà fare dei sacrifici,ma sente che quella che sta per intraprendere è la sua strada, Rino studia per tre anni da geometra che è quello che il padre sogna per lui, ma Rino sente che quello non è il mestiere che fa per lui, decide allora di tentare di farsi conoscere andando le prime volte al Folkstudio, un locale dove si esibiscono artisti come Antonello Venditti, Francesco de Gregori, in una delle sue esibizioni si presenta accompagnato da una chitarra anche se il locale non è molto frequentato inizia ha cantare I love you Maryanna, canzone molto allegra dove Rino canta in tedesco, francese, inglese, spagnolo e italiano, la canzone si presta ad un curioso gioco di pronuncia, in cui Maryanna è pronunciata in modo similare alla parola marijuana, di questo se ne accorse la censura che vietò il pezzo dalla programmazione radio-televisiva. .In realtà Rino con questa canzone ha voluto rendere omaggio alla nonna che si chiamava Marianna, l’album con il quale si presento inizialmente fu I love you Maryanna, nella copertina è presente Kammamuri’s, il personaggio scaturito dalla penna di Salgari, l’aiutante di Sandokan con in primo piano la tigre, Kammamuri’s è anche lo pseudonimo con il quale Rino firmava l’album.Viene notato da un discografico che fa parte della IT un’etichetta indipendente, si chiama Vincenzo Micocci, con lui incide il primo album Ingresso libero che contiene canzoni come Tu, forse non essenzialmente tu, Ad esempio a me piace il sud la quale per farla conoscere decide di affidarla a un cantante melodico come Nicola di Bari, anch’ egli del sud originario della Puglia, il quale la presenta a Canzonissima.Nella versione di Nicola di Bari viene cambiato solo il ritornello per il resto il testo non subisce variazioni, Nicola di Bari nel ritornello canta “Ma chi manca sei tu, Con te ho diviso un’età, Tutti i miei sogni per te, Tutto il mio amore, La mia libertà. Nella versione originale di Rino Gaetano invece è “Ma come fare non so, Si, devo dirlo, ma a chi? Se mai qualcuno capirà, Sarà senz’altro un altro come me. Una canzone contenente nel primo album si rifà molto allo stile di de Andrè ed è E la vecchia salta con l’ asta, “la favola antica del cavaliere, cresciuto nel solitario castello, annoiato dall’amore di tre cortigiane e dal rosso nettare di tre damigiane. Illuso da assurde chimere, il cavaliere parte alla ricerca dell’amore.”Bisogna dire che Rino Gaetano quando era ancora agli esordi si è fatto conoscere per due canzoni la prima, la quale l’ha pubblicata, si chiama Jaqueline era già stata riproposta all’etichetta Bell Disc insieme a La ballata di Renzo per un disco successivamente mai inciso. Questa canzone La ballata di Renzo originariamente si chiamava “Quando Renzo morì ero al bar” ed è una canzone tragica e paradossale, sia per la vicenda raccontata, sia per la somiglianza con ciò che accadrà la notte del 2 giugno 1981 allo stesso Gaetano. A 31 anni non ancora compiuti, e a meno di un chilometro da casa, il cantautore calabro-romano Salvatore Antonio Gaetano detto Rino incomincia a morire alle 3.55 del 2 giugno 1981 sulla via Nomentana all’altezza di via Carlo Fea, nei pressi dell’angolo con viale XXI Aprile. Incomincia a morire dove ci sono l’ambasciata iraniana, un bar sempre aperto che vende le sigarette anche di notte e una farmacia gestita da dottori calabresi. Muore dopo essersi schiantato con la sua Volvo 343 GL grigio metallizzato targata “Roma Z40932”. Rino muore dopo essersi schiantato contro un’ autocarro Fiat 650D guidato da Antonio Torres e carico di frutta e verdura, che si stava dirigendo verso i mercati generali. La canzone racconta “la storia di Renzo che muore dopo essere stato investito da un’auto, mentre i suoi amici se ne stanno al bar all’oscuro dell’incidente. Renzo muore solo, dopo essere stato rifiutato da cinque ospedali per insufficienza di posti, neppure al cimitero del Verano hanno posto,Renzo viene rifiutato anche lì. Persino nel luogo della pace eterna, la salma di Renzo è paradossalmente condannata a non trovare tregua”, gli stessi che respingeranno Rino per mancanza di posti e di attrezzature necessarie ai craniolesi: negli ultimi istanti della sua vita, il cantante avrebbe perso più di due ore tra il Policlinico, il San Giovanni e il San Camillo alla ricerca di un posto, prima di spegnersi all’alba del 2 giugno, anche la salma di Rino dovrà aspettare alcuni mesi prima di trovare sistemazione al Verano, nel riquadro 119, piano terra, cappella V, loculo 10.
Rino Gaetano
Rino Gaetano
Ma il cielo è sempre più blu
1960. Per motivi di lavoro il padre Domenico e la madre Maria decidono di trasferirsi a Roma con i due figli. Inizialmente trovano sistemazione e lavoro in viale Tirreno.
1961. La vita della famiglia Gaetano è difficile e così i genitori mandano Rino al seminario della Piccola Opera del Sacro Cuore di Narni in provincia di Terni, scelta dettata più da esigenze pratiche che da convinzioni religiose. Rino si ritrova così solo e distante dalla famiglia, in un ambiente molto rigido e diverso da quello familiare.
1964. Nel tempo libero dallo studio e dalla preghiera inizia a scrivere, tra le altre cose, anche un poema su modello dantesco dal titolo E l’uomo volò. Lega molto con un insegnante, padre Renato Simeoni, che ritroverà più avanti nella vita.
1967. Rino finalmente torna a Roma dai genitori, che nel frattempo si sono trasferiti in via Cimone 93: il clima socio-politico nella capitale è caldissimo ed è facilmente immaginabile quanti e quali stimoli potesse offrire un tale ambiente a un ragazzo come Rino.
1968. Rino compie 18 anni. Stringe le sue prime amicizie “romane”. Insieme ad alcuni ragazzi forma un gruppo musicale, i Krounks, dove suona il basso: il gruppo esegue cover, ma Rino scrive anche moltissime canzoni. E’ affascinato dalle grandi star internazionali come Bob Dylan e i Beatles e da una nuova generazione di cantanti italiani che si esprimono in modo originale come Celentano, Jannacci, I Gufi, Gianco, Pieretti, De Andrè…
1969. A Rino arriva il congedo illimitato dal servizio militare per via dell’ invalidità civile del padre. Si arrangia con dei piccoli lavoretti, avvicinandosi nel contempo al teatro dove fa di tutto, dal cabaret al teatro di strada, persino il fonico. Comincia anche a frequentare il Folkstudio, noto locale romano all’ epoca diretto da Giancarlo Cesaroni, dove si esibiscono moltissimi giovani. Qui conosce Ernesto Bassignano, Antonello Venditti e Francesco de Gregori, praticamente coetanei e anche loro in cerca di fortuna. Rino comincia a mostrare il suo talento: ha un modo di scriversi e di porsi atipico, non schierato politicamente, e tratta i problemi sociali con una forte dose di ironia. Per questo motivo troverà subito difficoltà nel mondo musicale dal momento che il suo modo di cantare e criticare tutto e tutti a qualcuno non va a genio. Si esibisce con Antonello Venditti in alcuni spettacoli di cabaret di Marcello Casco: i due si occupano anche delle musiche. Rino, come fonico, è impegnato anche con la Compagnia di Teatro dei Commedianti, diretta da Gianfilippo Carcano, in un due tempi di Maria Teresa Albani.
1970-1971. La famiglia Gaetano si trasferisce in via Nomentana Nuova 53, dove i genitori, diventando portieri, hanno a disposizione il seminterrato dello stabile. La casa è piccola e le finestre si affacciano sul marciapiede: l’ unico panorama che si può ammirare attraverso le grosse sbarre dei vetri sono le gambe delle persone che passano. Per Rino, che vive con i suoi in quell’ abitazione, il cielo blu è solo un miraggio. Mentre fa piccoli lavoretti nel condominio, continua a coltivare le sue passioni. Si dedica molto al teatro prendendo parte ad alcune rappresentazioni. Recita i poemi di Majakowskij e interpreta Estragone in Aspettando Godot di Samuel Beckett e la volpe in Pinocchio; prende parte anche a un giro teatrale con l’ETI (Ente Teatrale Italiano). Passa dai teatri underground alle rappresentazioni per bambini nelle scuole. Dati i problemi economici della famiglia, Rino deve cercarsi delle entrate certe. Attraverso conoscenti, il padre gli procura un posto in banca, un lavoro ben retribuito e sicuro. Rino, diplomato in ragioneria ma con sogni ben diversi, riesce a trovare un piccolo compromesso con i genitori: avrà a disposizione un ultimo anno per provare a sfondare, altrimenti dovrà rassegnarsi a lavorare in banca.
1972. Rino riesce a iscriversi alla SIAE e, introdotto dal suo amico Antonello Venditti, si presenta a Vincenzo Micocci, della casa discografica IT, con lo pseudonimo di “Bacom”. In un primo momento Rino è intenzionato a impegnarsi solamente come autore: vorrebbe che qualcun altro, magari un amico, cantasse al posto suo; ma alla fine hanno la meglio i discografici, che in lui vedono un frontman atipico ma forte, dotato di talento e personalità, oltretutto serio e affidabile. Contemporaneamente ottiene un provino dalla etichetta discografica Bell Disc di Milano e incide un primo 45 giri contenente La ballata di Renzo e I love you Maryanna che però non sarà mai stampato.
1973-1974. Finalmente esce il suo primo 45 giri prodotto dalla IT, che si deve considerare una specie di prova vocale, dove, con lo pseudonimo “Kammamuri’s” troviamo le canzoni I love you Maryanna e Jaqueline. Questo disco viene prodotto da Antonello Venditti, come era consuetudine a quei tempi alla IT, dove si facevano collaborare fra loro i giovani artisti. I primi tempi, per guadagnare qualche soldo, Rino lavora per l’etichetta discografica svolgendo anche altre mansioni: talvolta si occupa di attività di carattere tecnico o promozionale, segue a sua volta altri giovani artisti e va alla ricerca di nuovi talenti. In questo periodo Rino mette a punto i testi del suo primo 33 giri, “Ingresso libero”, che verrà pubblicato nel novembre 1974, e incontra Bruno Franceschelli con il quale stringe una forte amicizia destinata a durare fino alla tragica morte di Rino. Tramite Bruno, Rino approfondirà autori come Petrolini e Ionesco. La casa discografica RCA, che ha come affiliata la IT, propone Rino autore a Nicola di Bari, che nel 1971 aveva cantato brani di Tenco. Rino scrive per il cantante Prova a chiamarmi amore, Questo amore cosi grande e una versione modificata nel testo e nel significato di Ad esempio a me piace… il Sud, presentata per la prima volta a <
1975. Rino Gaetano insieme a molti altri cantanti partecipa alla manifestazione “Trianon ‘75”, a Roma, che diventerà un doppio album molto suggestivo, dove Rino canta dal vivo, accompagnandosi con la chitarra, Ad esempio a me piace… il Sud. Proprio nel corso di quesat’anno ottiene il primo grande successo pubblicando Ma il cielo è sempre più blu, un 45 giri atipico: praticamente contiene una sola canzone divisa in due parti, una su ognuno dei due lati. Fin da subito viene trasmessa alla radio e soprattutto all’interno di “Alto Gradimento”, il programma RAI di Renzo Arbore e Gianni Boncompagni. Non tardano ad arrivare le prime censure: nell’incisione originale della canzone troviamo una frase che forse per l’epoca è ritenuta “politicamente poco corretta”: <
1976. In maggio esce l’album “Mio fratello è figlio unico”. I dischi della IT vengono registrati e preparati negli studi della RCA con musicisti e tecnici messi a disposizione dall’etichetta discografica. Va fatto notare che in questo disco il sitar e il latro sono suonati da Gaio Chiocchio. Dopo l’uscita del disco, Rino Gaetano parte subito in tournèe affiancato dai Perigeo. Cede una sua canzone inedita a una cantante della IT, Carmelina Gadaleta, dal titolo Sandro Trasportando, e lavora in un recital radiofonico con Claudio Lippi.
1977. Rino è impegnato a ultimare l’album “Aida”, che uscirà in primavera, dove ritroviamo come collaboratori musicisti che già avevano lavorato con lui: negli arrangiamenti e al sax Foffo Bianchi, alle chitarre Luciano Ciccaglioni, alla batteria Massimo Buzzi, al basso Piero Ricci e infine al missaggio Maurizio Montanesi con il quale era diventato amico. Va sottolineato che nel clima socio-politico di quel momento, molti cantanti vengono contestati, ma a Rino Gaetano viene riconosciuta una purezza che lo tiene al di fuori delle contestazioni.Prorpio nel corso di quest’anno gli viene affiancato un gruppo emergente, i Crash, che lo accompagnerà in tournèe. Per i Crash Rino produce un album intitolato “Extasis” e scrive il testo per una loro canzone inedita dal titolo Marziani noi. Cresce sempre di più la popolarità del cantautore che però è ancora costretto a scontrarsi con la censura: per esempio in una apparizione televisiva a “Domenica in”, in quell’anno condotta da Corrado, è costretto a tagliare la parola “coglione” dalla canzone Spendi spandi effendi.
1978. Il 26 gennaio entra nelle case degli italiani Gianna. Rino Gaetano partecipa al 28 Festival di Sanremo ottenendo un enorme successo: arriva al terzo posto nella classifica finale, ma scala la classifica delle vendite, dove rimane al primo posto per diverse settimane. Questa canzone ha un successo incredibile e viene incisa anche in Germania da Wolfgang Petry con lo stesso titolo, mentre Rino ne incide una versione in inglese con il titolo Gina, che però non verrà mai pubblicata. Alcuni fan non approvano la sua scelta di partecipare a Sanremo, lo stesso Rino in un primo momento non ne è convinto, soprattutto di farlo con una canzone commerciale come Gianna: preferirebbe presentarsi con Nuntereggae più, ma i discografici spingono per Gianna fino a convincerlo. Rino Gaetano comunque cerca di distinguersi dal contesto presentandosi in maniera atipica con un cilindro in testa, ukulele, frac e scarpe da tennis, accompagnato da strani coristi che poi non sono altri che i Pandemonium. Va sottolineato che per la prima volta a Sanremo viene pronunciata la parola “sesso”. Nel 2002, Anna , la sorella di Rino, metterà all’asta l’ ukulele di Sanremo, ottenendo una bella somma che andrà interamente a favore di Emergency per un progetto di mantenimento del Centro Medico per Bambini in Sierra Leone. Nel corso dell’anno ritroviamo Rino impegnato in una tournèe per l’ Italia, partecipa anche a varie serate e manifestazioni fra cui va ricordato “Discomare ‘78” anche per la polemica che scoppia nella serata finale: la RAI infatti, o chi per essa, cerca di impedire al cantante di esibirsi con Nuntereggae più; Rino per protesta lascia la manifestazione. Fortunatamente il grande successo ottenuto dal brano permetterà al cantante di esibirsi altre volte in RAI con questa canzone. Nella prima versione incisa le parole di questo testo erano ben diverse, ci si potevano trovare molti più nomi e cognomi di personaggi dell’epoca, sui quali forse fu posto un veto. Va sottolineato che al tempo la frase “PCI nuntereggae più”, associando il PCI ad altri partiti appartenenti alla maggioranza, non fu bene accolta negli ambienti dell’opposizione. Poi, a complicare il tutto, l’album Nuntereggae più che contiene la canzone esce ad aprile, all’indomani del sequestro Moro. Nell’album ritroviamo un vecchio amico di Rino, Francesco de Gregori, che collabora con lui per la canzone Fabbricando case, dove si presta a un controcanto particolare.All’interno del disco Rino tra gli altri ringrazia: Ernesto Bassignano, la Schola Cantorum, la sua ragazza Ameliuzza, come la chiamava, per arrivare poi a piazza Michelangelo e al lungotevere Petrolini che “hanno più o meno collaborato alla realizzazione di questo disco” come lui stesso scrive. Per Rino Gaetano Sanremo è il primo grosso compromesso e l’inizio di un successo commerciale che forse comincia a logorarlo dentro. Rino è un ragazzo buono e semplice e nonostante la sua celebrità cerca di condurre la stessa vita di prima.Come racconta la sorella Anna, spesso Rino le chiede in prestito la macchina, una Panda, per girare per Roma indisturbato.
1979. A questo punto della carriera di Rino Gaetano viene ceduto dalla IT alla RCA (come avviene per tutti quelli che arrivano a un certo successo) e proprio per la nuova etichetta esce l’album “Resta vile maschio dove vai?”, dove anche l’immagine di Rino subisce una trasformazione ( basta guardare la scelta della foto di copertina): ora è più professionale e commerciale. Forse proprio per dare maggiore spessore all’operazione viene organizzata una collaborazione con Mogol, che scrive il testo della canzone che dà il titolo all’album. Per la realizzazione del disco viene organizzata una spedizione in America Centrale e l’album viene inciso a Città del Messico nel Centro Musicale Grabaciòn e a Miami negli studi Climax. Nel corso dell’anno Rino partecipa a una trasmissione radiofonica con Patty Pravo dal titolo <<>>.Contemporaneamente all’uscita del disco in Italia escono le versioni spagnole di Nuntereggae più (Corta el rollo ya), E cantava le canzoni (Y cantaba las canciones), Resta vile maschio dove vai? (Maestra del amor), Ahi Maria (Ay! Maria): va segnalato che Nuntereggae più viene adattata con politici e personaggi famosi della Spagna, mentre Resta vile maschio dove vai?presenta tutto un altro testo scritto dallo stesso Rino con un aiuto per la traduzione. In ottobre al “Discostate”, a Rieti, obbligato a cantare in playback, Rino, invece di muovere la bocca per far finta di cantare, si fuma una sigaretta. Molti amici parlano di un periodo di crisi d’identità dopo l’uscita del disco. Per quanto riguarda la vita privata, in questo anno Rino Gaetano si compra finalmente una casa nella zone S. Lucia, in via delle Molette a Mentana, nei pressi di Roma: non ci va ad abitare ma la usa spesso per organizzare delle cenette con amici e nel giardino coltiva un piccolo orto. Il vero motivo dell’acquisto è il prossimo matrimonio con la sua ragazza, Amelia.
1980. Rino è impegnato nel progetto di creare un disco e un’ immagine diversi (basta anche qui guardare la copertina).Esce l’album “E io ci sto” che mostra un approccio al mercato di tipo non commerciale. Le vendite saranno inferiori al solito, ma, come lo stesso Rino dichiara varie volte, ne è molto soddisfatto perché è un album che dà un messaggio più duro e più preciso. In maggio in RAI, partecipa alla serata per i 20 anni dalla morte di Fred Buscagliene dove interpreta, rivisitandola e aggiornandola, Il dritto di Chicago. Nello stesso anno esce l’album “Alice”, disco atipico dei Perigeo: per questo progetto, che doveva sfociare in un musical, coinvolgono vari artisti fra cui Rino Gaetano, Anna Oxa, Lucio Dalla, Ivan Cattaneo. Rino scrive e interpreta il testo di Al bar dello sport con Maria Monti, e partecipa alla canzone finale che vede impegnati tutti gli artisti, dal titolo Confusione gran confusione. A fine anno, presentata da Shel Shapiro, prende il via una nuova tournèe, dove Rino si esibisce a fianco di Cocciante e dei Perigeo. Da questa sinergia esce “Qconcert ”, contenente quattro canzoni fra cui Ancora Insieme, Imagine dedicata a John Lennon appena scomparso, Aschmilero, Aida cantata da Riccardo Cocciante e la splendida interpretazione di A mano a mano di Cocciante eseguita da Rino Gaetano.
1981. Il 31 maggio Rino Gaetano fa la sua ultima apparizione in TV cantando E io ci sto, mentre sta preparando un nuovo tour con Anna Oxa e i Perigeo, incidendo al contempo delle canzoni con la Oxa fra cui La gallina coccodè di Battisti. Il 2 giugno, da solo, alle prime luci del mattino, Rino muore. Come al solito aveva cercato degli amici per passare la serata e poi era rimasto solo. Stava tornando a casa, alle 3,55 a bordo della sua Volvo 343 grigio metallizzato, targata Z40932, all’incrocio di via Nomentana con via Carlo Fea , vicino a via XXI Aprile, finisce sulla corsia opposta e si schianta contro un camion, un Fiat 650D che è diretto ai Mercati Generali. Rino sbatte violentemente la testa sul vetro ed entra in coma, arrivano i soccorsi e viene portato al Policlinico che però è privo di un reparto per craniolesi. Si cercano disperatamente altri ospedali, ma non si trova un posto e cosi dopo due ore Rino ci lascia per sempre. Colpiscono le tremende somiglianze con la sua prima canzone incisa, Quando Renzo morì.Sono molte le polemiche sul mancato ricovero in ospedale, viene anche aperta un inchiesta, per molti anni rimane una morte strana… Il 4 giugno, alle 11,30 del mattino, nella chiesa del Sacro Cuore di Gesù sul lungotevere Prati, proprio nella chiesa di padre Simeoni e dove Rino si sarebbe sposato, si svolge il suo funerale. Rino inizialmente viene sepolto nel piccolo cimitero di Mentana fino al 17 ottobre quando è trasferito al cimitero del Verano, nel riquadro 119, piano terra, cappella V, loculo 10. E cos’ Rino morì…aveva solo 30 anni.
Ancora il “secondo sesso”
Ancora il “secondo sesso”
Le donne continuano a scontrarsi con ostacoli che impediscono la loro conquista dello spazio politico, all’interno del quale rimangono una piccola minoranza. In tutti i paesi e qualunque sia la loro appartenenza politica,le donne si scontrano sempre con molteplici ostacoli che ne frenano l’ascesa politica. “La maggior parte di essi è espressa in termini di mancanze”, sottolinea l’ IPU. Mancanza di tempo, di formazione e d’ informazione, di fiducia in sé, di denaro, di sostegno e motivazione, di associazioni femminili, di solidarietà tra donne e via dicendo. I pregiudizi sono tenaci. In ogni cultura, le donne sono viste meglio ai fornelli e alle prese con i figli piuttosto che nelle riunioni politiche o alla presidenza di un’assemblea di rappresentanti eletti. Questa immagine tradizionale è spesso rafforzata dai media. Essa si manifesta anche attraverso la violenza degli attacchi verbali e fisici di cui sono spesso oggetto le donne impegnate in politica. Nei paesi poveri,che affrontano diversi conflitti e il degrado delle condizioni economiche e sociali,le donne sono totalmente prese dalla gestione della vita quotidiana e dalle cure che prestano alla propria famiglia. L’ IPU sottolinea, a questo riguardo, l’insufficienza generale delle infrastrutture degli asili infantili – spesso riservati a una minoranza privilegiata -, la poca disposizione dei partiti politici ad adattare i propri orari e le proprie modalità di riunione a tal genere di problemi e lo scarso appoggio che le donne ricevono dai propri familiari. Questo aiuto – sia morale che materiale – è tuttavia fondamentale, dal momento che le donne, che hanno interiorizzato immagini negative di sé fin dalla notte dei tempi, soffrono molto spesso di mancanza di fiducia in se stesse. Altro ostacolo è costituito dalla carenza di risorse finanziarie, mentre le campagne elettorali richiedono mezzi considerevoli. Le donne si scontrano inoltre con un maschilismo più o meno aperto, che si manifesta con l’esistenza di circoli politici chiusi, cui il “secondo sesso” non ha diritto di ammissione. Esse deplorano infine la scarsa solidarietà che si dimostrano le une con le altre, tanto più grave in quanto gli incarichi disponibili per loro sono scarsi. Quasi ovunque, con la notevole eccezione di alcuni paesi quali il Kuwait, le leggi garantiscono alle donne il diritto di votare e di essere elette. Ma, in pratica, la femminilizzazione dei parlamenti e dei governi non progredisce affatto. Secondo l’Unione interparlamentare (IPU), organizzazione con sede a Ginevra che riunisce 139 parlamentari, gli uomini continuano a rappresentare più dell’ 86% dei parlamentari nel mondo e nessun paese ha ancora instaurato una parità completa. Nei paesi ex comunisti, la rappresentanza femminile in politica, un tempo una delle più elevate al mondo, è nettamente diminuita dopo il crollo del comunismo. Ugualmente, indica l’ IPU, il numero delle donne capi di governo e ministri “non aumenta sensibilmente”. La media mondiale delle donne al governo si colloca attorno al 12%. E raramente esse detengono ministeri strategici come quello delle Finanze, dell’Interno o della Difesa. Più volentieri si affida loro il ministero degli Affari Sociali e della Famiglia, della Sanità o dell’ Ambiente, che dispongono di meno mezzi ed hanno minor peso politico.
Le donne continuano a scontrarsi con ostacoli che impediscono la loro conquista dello spazio politico, all’interno del quale rimangono una piccola minoranza. In tutti i paesi e qualunque sia la loro appartenenza politica,le donne si scontrano sempre con molteplici ostacoli che ne frenano l’ascesa politica. “La maggior parte di essi è espressa in termini di mancanze”, sottolinea l’ IPU. Mancanza di tempo, di formazione e d’ informazione, di fiducia in sé, di denaro, di sostegno e motivazione, di associazioni femminili, di solidarietà tra donne e via dicendo. I pregiudizi sono tenaci. In ogni cultura, le donne sono viste meglio ai fornelli e alle prese con i figli piuttosto che nelle riunioni politiche o alla presidenza di un’assemblea di rappresentanti eletti. Questa immagine tradizionale è spesso rafforzata dai media. Essa si manifesta anche attraverso la violenza degli attacchi verbali e fisici di cui sono spesso oggetto le donne impegnate in politica. Nei paesi poveri,che affrontano diversi conflitti e il degrado delle condizioni economiche e sociali,le donne sono totalmente prese dalla gestione della vita quotidiana e dalle cure che prestano alla propria famiglia. L’ IPU sottolinea, a questo riguardo, l’insufficienza generale delle infrastrutture degli asili infantili – spesso riservati a una minoranza privilegiata -, la poca disposizione dei partiti politici ad adattare i propri orari e le proprie modalità di riunione a tal genere di problemi e lo scarso appoggio che le donne ricevono dai propri familiari. Questo aiuto – sia morale che materiale – è tuttavia fondamentale, dal momento che le donne, che hanno interiorizzato immagini negative di sé fin dalla notte dei tempi, soffrono molto spesso di mancanza di fiducia in se stesse. Altro ostacolo è costituito dalla carenza di risorse finanziarie, mentre le campagne elettorali richiedono mezzi considerevoli. Le donne si scontrano inoltre con un maschilismo più o meno aperto, che si manifesta con l’esistenza di circoli politici chiusi, cui il “secondo sesso” non ha diritto di ammissione. Esse deplorano infine la scarsa solidarietà che si dimostrano le une con le altre, tanto più grave in quanto gli incarichi disponibili per loro sono scarsi. Quasi ovunque, con la notevole eccezione di alcuni paesi quali il Kuwait, le leggi garantiscono alle donne il diritto di votare e di essere elette. Ma, in pratica, la femminilizzazione dei parlamenti e dei governi non progredisce affatto. Secondo l’Unione interparlamentare (IPU), organizzazione con sede a Ginevra che riunisce 139 parlamentari, gli uomini continuano a rappresentare più dell’ 86% dei parlamentari nel mondo e nessun paese ha ancora instaurato una parità completa. Nei paesi ex comunisti, la rappresentanza femminile in politica, un tempo una delle più elevate al mondo, è nettamente diminuita dopo il crollo del comunismo. Ugualmente, indica l’ IPU, il numero delle donne capi di governo e ministri “non aumenta sensibilmente”. La media mondiale delle donne al governo si colloca attorno al 12%. E raramente esse detengono ministeri strategici come quello delle Finanze, dell’Interno o della Difesa. Più volentieri si affida loro il ministero degli Affari Sociali e della Famiglia, della Sanità o dell’ Ambiente, che dispongono di meno mezzi ed hanno minor peso politico.
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L’Italia è maschilista?
L’Italia è maschilista?
Gli italiani hanno eletto 630 deputati e 315 senatori. Ebbene, completato lo spoglio delle schede, le donne diventate onorevoli sono meno di 90. Meno del 9 per cento. Siamo in un paese maschilista. E’ indiscutibilmente maschilista l’aria che tira. Non maschilisti gli elettori, del resto più donne che uomini. Sono maschilisti i partiti che preparano le liste dei candidati. Ma prima e dopo le elezioni è ancora maschilista soprattutto l’assetto globale dei poteri nella società. La Camera dei deputati ha già avuto due presidenti donne, la giovanissima Irene Pivetti e la matura Nilde Jotti, ma le scelte non hanno cambiato il tono generale di un luogo di uomini. Poiché la situazione sociale nel Paese è in cambiamento in tutti i settori, vi risparmio le cifre indicative del dislivello: ovunque le donne contano meno. Se nove maestri elementari su dieci sono donne nella fatica più importante e meno gratificante di una classe dirigente, nove presidenti di banca su dieci sono uomini. Ma si laureano più donne che uomini e le donne laureate ottengono mediamente voti migliori. Quindi il passaggio dal merito al suo riconoscimento non potrà attendere molto. C’è qualcosa però di sbagliato nel modo con il quale in politica si affronta il problema in Europa, ora tentando di bloccare per legge una quota di eleggibilità garantita a favore delle donne, ora presentando ogni scelta di potere al femminile come una concessione da spendere in propaganda. C’è un tono da dono alla minoranza emarginata. Ma le donne non sono minoranza né statistica né culturale. Liberate da tempo in casa rispetto a una subcultura maschilista, negli spazi privati dell’esistenza sono già intellettualmente egemoni; piuttosto sono gli uomini che si stanno femminilizzando. Ma la politica non se ne è ancora accorta.
Gli italiani hanno eletto 630 deputati e 315 senatori. Ebbene, completato lo spoglio delle schede, le donne diventate onorevoli sono meno di 90. Meno del 9 per cento. Siamo in un paese maschilista. E’ indiscutibilmente maschilista l’aria che tira. Non maschilisti gli elettori, del resto più donne che uomini. Sono maschilisti i partiti che preparano le liste dei candidati. Ma prima e dopo le elezioni è ancora maschilista soprattutto l’assetto globale dei poteri nella società. La Camera dei deputati ha già avuto due presidenti donne, la giovanissima Irene Pivetti e la matura Nilde Jotti, ma le scelte non hanno cambiato il tono generale di un luogo di uomini. Poiché la situazione sociale nel Paese è in cambiamento in tutti i settori, vi risparmio le cifre indicative del dislivello: ovunque le donne contano meno. Se nove maestri elementari su dieci sono donne nella fatica più importante e meno gratificante di una classe dirigente, nove presidenti di banca su dieci sono uomini. Ma si laureano più donne che uomini e le donne laureate ottengono mediamente voti migliori. Quindi il passaggio dal merito al suo riconoscimento non potrà attendere molto. C’è qualcosa però di sbagliato nel modo con il quale in politica si affronta il problema in Europa, ora tentando di bloccare per legge una quota di eleggibilità garantita a favore delle donne, ora presentando ogni scelta di potere al femminile come una concessione da spendere in propaganda. C’è un tono da dono alla minoranza emarginata. Ma le donne non sono minoranza né statistica né culturale. Liberate da tempo in casa rispetto a una subcultura maschilista, negli spazi privati dell’esistenza sono già intellettualmente egemoni; piuttosto sono gli uomini che si stanno femminilizzando. Ma la politica non se ne è ancora accorta.
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