lunedì 24 dicembre 2007

AIDS

AIDS


Il termine AIDS deriva dall’abbreviatura Acquired Immuno – Deficiency Syndrome (Sindrome da Immuno Deficienza Acquisita). Nel 1983 si sapeva ancora pochissimo di questa sindrome. Oggi si calcola che nel mondo siano più di 22 milioni le persone infette, di cui 14 milioni solo in Africa, infatti, l’epidemia riguarda sempre di più il Terzo mondo, dove la diffusione ha raggiunto livelli altissimi, e i farmaci più efficaci non sono disponibili, mentre si è stabilizzata nei paesi ricchi. Sono stati identificati più di mille ceppi diversi di virus che corrispondono a 8 o 9 grandi famiglie, probabilmente alcuni di questi risultano meno aggressivi. Anche in Uganda, ad esempio, sono tantissimi i sieropositivi e molto pochi i malati di AIDS. Per spiegare questo fenomeno si può fare l’ipotesi che in quei paesi il virus sia arrivato già da molto tempo e, quindi, il sistema immunitario della popolazione si sia nel frattempo rafforzato. Lo scienziato francese Luc Montagnier, insieme al suo gruppo dell’Istituto Pasteur di Parigi, ha isolato il virus HIV che colpisce il sistema immunitario, cioè quel sistema di cellule (istiociti e linfociti) che intervengono a difesa dell’organismo contro le infezioni. La natura retrovirale dell’HIV crea non pochi problemi, infatti, i retrovirus attaccano e distruggono i linfociti, poi si riproducono all’interno della cellula utilizzando un’ enzima e trasformando il loro RNA in DNA (trascriptasi inversa). Nei retrovirus, l’informazione genetica è conservata in una molecola di RNA (Acido Ribonucleico, si trova sia nel nucleo sia nel citoplasma delle cellule, la cui funzione principale è la sintesi proteica) e questo funge da stampo per “riscrivere” l’informazione sul DNA (Acido Desossiribonucleico, si trova quasi esclusivamente nel nucleo delle cellule ed è portatore dei fattori ereditari).Appena il materiale genetico è integrato da quello della cellula ospite, l’HIV programma la creazione di altri componenti virali. I nuovi retrovirus abbandonano la cellula e, proliferandone al di fuori, vanno ad infettare altri linfociti creando, cosi, un processo a catena. Alla scoperta del virus dell’HIV seguirono campagne di stampa internazionali in pericoloso bilico tra informazione e catastrofismo. Oggi, invece, l’attenzione dei media si sta spostando dalla crudele eccezionalità della malattia alla quotidianità di milioni di persone che, pur colpite dal contagio, continuano a vivere la loro vita da sieropositivi. Il 5% dei sieropositivi, a più di dieci anni dall’infezione non si ammala di AIDS. I loro anticorpi, tengono “in scacco” il virus e il sistema immunitario continua a funzionare bene. Questi soggetti sono chiamati “resistenti” o anche “lungo resistenti”. Equipe di immunologi di molti paesi li studiano per individuare nel loro sangue una caratteristica, una “anomalia” che possa portare alla scoperta di un vaccino o di una terapia. Resta aperto un quesito e cioè se la capacità di tenere testa all’AIDS di questi sieropositivi fosse dovuta a un virus scarsamente aggressivo o al loro sistema immunitario che impediva all’infezione di progredire verso la malattia conclamata. Comunque la speranza di tutti è la realizzazione di un vaccino contro l’AIDS, una delle sfide più complesse e insidiose che la medicina e la biologia sono chiamate ad affrontare in questo fine secolo. Le difficoltà nascono in primo luogo dal fatto che non bisogna affrontare un solo virus, ma tanti ceppi di virus HIV; di conseguenza non si dovrà realizzare un solo vaccino ma tanti vaccini diversi contro le varie forme mutanti del virus HIV. Negli ultimi anni, in tutti i paesi del mondo, Italia compresa, sono stati sperimentati sull’uomo una serie di vaccini che usano strade diverse per combattere il virus. Una delle strade più seguite si basa sull’ingegneria genetica, per ottenere preparati che non contengono l’intero virus, ma soltanto una piccolissima parte delle proteine che lo investono, affinché queste scatenino la risposta immunitaria dell’organismo ma senza il rischio dell’infezione. La notizia di un bambino di 5 anni, sieropositivo sin dalla nascita ed ora guarito, ha destato grande scalpore, ridando speranza a chi è stato colpito dalla malattia e offrendo nuovi spunti di ricerca a chi si occupa di AIDS. Il bambino è figlio di una madre sieropositiva e sin dalla nascita era risultato positivo al test. Tutti i neonati ricevono, attraverso la placenta, gli anticorpi che possiede la madre e li conservano più di un anno. Qualche mese dopo la nascita del bambino sieropositivo, dell’HIV non c’era più traccia. Esiste la remota possibilità che il virus possa essersi nascosto in qualche linfonodo e, se i ricercatori non hanno commesso errori, questa storia potrebbe smentire il dogma che l’infezione da HIV sia irreversibile. Non è questo il primo caso. Una di queste riguarda tre neonati italiani. Evidentemente qualcosa cambia, negli sviluppi di questa malattia, infatti, è stata riscontrata una forte reattività contro il virus in gruppi che di omosessuali che, pur essendo ad alto rischio, apparentemente non si sono mai infettati. Per spiegare questa reattività si pensa che il virus, per qualche tempo abbia soggiornato in questi soggetti. Non si è molto lontani dalla verità, altrimenti non si potrebbe spiegare il fatto che negli aborti di donne sieropositive, quasi sempre nel feto si trova il virus, mentre il 75% dei nati da madri infette risultano, alla fine, indenni. Luc Montagnier dovrebbe avviare, entro il 2000, la sperimentazione in Francia di un vaccino contenente un gene in grado di neutralizzare l’azione della proteina NEF (Negative Factor, fattore negativo) che facilita il progredire dell’infezione. Questo fattore è presente nello stesso virus HIV, che ne sollecita la formazione all’interno delle cellule che invade. Il virus HIV avanza servendosi di questa proteina come nutrimento. La sostanza che l’equipe di Montagnier sta cercando di mettere a punto, ha lo scopo di inibire, di impedire la formazione di questa proteina. Togliendo al virus HIV il nutrimento proteico di cui ha bisogno per moltiplicarsi, si cerca di bloccarne la diffusione del virus, la stessa malattia dell’AIDS non potrà progredire. In Italia è iniziata la sperimentazione, per ora sulle scimmie, di un vaccino che scatena la risposta immunitaria dell’organismo contro la “TAT”, una delle proteine contenute nel virus HIV, che facilita l’infezione paralizzando i linfociti. Il vaccino è stato messo a punto da un gruppo di ricercatori dell’Istituto Superiore di Sanità; negli animali questo vaccino ha provocato una forte risposta immunitaria contro il virus, tanto da far prevedere la sua sperimentazione sull’uomo. Un vaccino simile che utilizza, però, il gene che produce la proteina “TAT” è stato sviluppato negli Stati Uniti: si tratta di un vaccino curativo e non preventivo e, attualmente, si sperimenta in Belgio, in Israele e in Italia, al centro Emofilia dell’Università di Milano. Il vaccino che dovrà sconfiggere il male del secolo, dovrà essere in grado di proteggere sia dalla trasmissione per mezzo del sangue sia dalla trasmissione per via sessuale che avviene attraverso le mucose. Dovrà essere efficace contro tutti i ceppi di virus e offrire una copertura a lungo termine e, infine, dovrà sviluppare non solo un’immunità attraverso gli anticorpi ma anche un’immunità cellulare. Una delle ultime conferenze mondiali sull’AIDS ha dato l’opportunità ai ricercatori, di confrontare le nuove tecniche di cura già in uso o ancora in via di sperimentazione, nuove teorie e nuove conoscenze. Il congresso si è aperto sulla base di cifre allarmanti. Sono, infatti, più di 28 milioni le persone colpite dal virus. Secondo i dati più recenti, forniti dall’Unaids (programma dell’ONU sull’AIDS), i sieropositivi sono circa 21 milioni e oltre 7 milioni coloro che hanno sviluppato la malattia. La grande maggioranza dei sieropositivi, vive nei paesi in via di sviluppo: 14 milioni nella regione del Sahara; 1 milione e 300 mila in Sud America; 4 milioni e 800 mila nel sud-est asiatico; 780 mila casi nel Nord America ed infine 470 mila nell’Europa occidentale. Nonostante queste cifre non siano tra le più confortanti, la conferenza di Vancouver, con oltre 15 mila partecipanti provenienti da 125 Paesi, ha riservato un’atmosfera ricca di speranze. Le nubi presenti nelle passate conferenze sono state diradate dai progressi che la ricerca, in questo campo, ha raggiunto. E’ stato anche annunciato che l’AIDS, sarà curabile, in un futuro assai prossimo. Lo scienziato Robert Gallo ha presentato i risultati del suo lavoro sulle chemiochine (Rantes-MP 1 Alfa- MP 1 Beta), potenti inibitori dell’HIV-1e 2. Queste molecole, prodotte dai linfociti CD e dai macrofagi, combinate con gli inibitori delle proteasi sono in grado, in provetta, di bloccare la replicazione dei virus. Luc Montagnier sostiene invece che l’epidemia riceverà un colpo mortale dai vaccini preventivi e curativi, ma la strada da percorrere per giungere a questo obiettivo è ancora molto lunga. Molto duro è stato l’intervento dell’attrice Liz Taylor, da anni impegnata quale presidentessa dell’Ampar (Fondazione americana per la ricerca sull’AIDS), contro gli USA e il Canada,Paesi in cui le tecnologie hanno raggiunto alti livelli, ma che hanno tagliato i fondi per la ricerca. La Taylor si è scagliata verbalmente proprio contro gli Stati Uniti, colpevoli di aver bloccato il programma per evitare lo scambio di aghi usati trai tossicodipendenti. Questa presa di posizione è stata definita dall’attrice con un termine ben specifico: omicidio premeditato. Sono stati resi noti, inoltre i dati relativi all’uso di profilattici come arma per combattere il diffondersi della malattia e i più attenti sono risultati gli italiani. Da una ricerca condotta dall’Istituto d’Igiene dell’Università La Sapienza di Roma, su un campione di 52 mila giovani tra i 19 e i 24 anni, emerge che i profilattici sono conosciuti e usati da noi più che in altri Paesi europei. Il caso del virus HIV, è simile ad un giallo dove non si vede il colpevole, ma tutte le prove sono contro di lui. DA SAPERE
1. Rapporti sessuali protetti dal preservativo, dall’inizio alla fine, riducono il rischio dell’AIDS. 2. E’ importante, tra i tossicodipendenti, non scambiarsi mai siringhe, aghi, cucchiaini. 3. Sudore, colpi di tosse, starnuti e lacrime non trasmettono il virus. 4. Il bacio non è un comportamento a rischio, a meno che non sussistano lesioni sanguinanti delle mucose interessate. 5. L’uso comune di asciugamani per il viso, indumenti, stoviglie, docce, non comporta alcun rischio. 6. La frequentazione di locali pubblici, palestre, piscine, ospedali, studi medici, mezzi di trasporto non è pericolosa. 7. Gli insetti non trasmettono l’HIV. 8. Certe terapie (agopuntura, mesoterapia, cure odontoiatriche), così come certi trattamenti estetici (manicure, pedicure, depilazione e tatuaggi) non sono a rischio, a patto che siano osservate le opportune misure igieniche e di sterilizzazione.


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